Racconto

 
 Maria Franca Martino, professoressa che insegna a Roma, originaria di Castelverrino. Il suo racconto è uno splendido affresco di vita molisana

La "Dodda"

di MARIA FRANCA MARTINO

E' stato per caso che mi è venuto alla mente questo ricordo così lontano nel tempo e, sorprendentemente, così vicino per la chiarezza delle immagini, i colori, le voci che mi sono tornati alla memoria. Proust diceva che talvolta finanche l'odore o il sapore possono evocare il passato, ma per me lo è stata una parola dialettale, non più sentita da tempo, la "dodda"!
Ma perchè è venuto fuori questo discorso?
La dote, il corredo. Molisano come me, Giampiero ne parlava e una strana sensazione avanzava, fatta di cose antiche, ma, al tempo stesso, così vivace e briosa.
All'improvviso, tutto un mondo si apriva davanti ai miei occhi e tornava e rivivere.
E poi, un'emozione che faceva battere il cuore. Ma perchè?
Scava, Scava, eccola l'emozione della bambina che, con delicatezza e con attenzione, portava il canestrello con i fazzoletti ricamati dalla dodda. Disposti sulla carta velina colorata che metteva in risalto il candore del lino e i piccoli merletti, le iniziali a punto croce di filosella variopinta...erano il contenuto del prezioso cestino di vimini.
Mia madre di cestini ne aveva uno largo, con il bordo basso, guarnito di un nastro celeste, ed era quello che io mi facevo dare quando, con le altre compagne, dovevano andare a portare la dodda.
Si usava, a Castelverrino, che, prima del matrimonio, la sposa esponesse nella sua casa il corredo. Per quella occasione, tutto il paese era invitato. Allora si potevano ammirare i capi di biancheria esposti sulle sedie impagliate e sui tavoli, consumando anche un piccolo rinfresco di biscotti fatti in casa, confetti e liquori dolci.
Ognuno intanto sceglieva uno o più capi da portare durante il corteo che poi si faceva per trasferire il corredo dalla casa della sposa a quella dello sposo.
Si portavano esposti nei larghi cesti di vimini oppure, semplicemente, sulle braccia perchè, al passaggio, gli altri potessero ammirare. Le tovaglie tessute con i telai, i lenzuoli, gli asciugamani con le frange, tutti ben piegati e, talvolta, tenuti insieme da nastri rosa. La "dodda" con la sei, la dodici...." secondo il numero dei capi più importanti che si ripeteva nelle federe, negli asciugamani, nelle sottovesti....Qualche volta c'era un asino con fiocchetti colorati intorno alla testa e alla coda, che aspettava di essere caricato dei materassi.
La gente diceva: "Che ve li possiate godere per cento anni". Le donne parlavano dei punti del ricamo, dei merletti a uncinetto, e c'era sempre una nuova idea da prendere anche per i propri lavori.
Per noi ragazzi era proprio una festa, anche per tutti quei discorsi diversi dal solito, che si facevano e che ci piaceva ascoltare: o piuttosto, ci piaceva di essere fra persone che, una volta tanto, non parlavano più dei raccolti dell'annata, della grandine e della malattia della vigna.
Ma ecco finalmente il corteo attraversare le strade del paese, mentre quelli che erano rimasti a casa, si affacciavano alle finestre e ai balconi. Qualcuno buttava il riso augurale o coriandoli di carta leggera colorata che restavano per un pò a volteggiare nell'aria, mentre la casa dello sposo attendeva, già preparata per accogliere la singolare processione.
E lì la festa si chiudeva, brindando ancora una volta alla salute degli sposi e delle famiglie degli sposi con il vino che veniva offerto.
Nelle strade tornava il silenzio, ma qualche coriandolo ammiccava ancora sul selciato.